Il 3 luglio scorso è stata pubblicata sul Supplemento ordinario n. 136 della Gazzetta Ufficiale, la Legge 28 giugno 2012 n. 92 recante disposizioni di riforma del mercato del lavoro, che entrerà in vigore dal 18 luglio prossimo, salvo alcune decorrenze differite previste da specifiche disposizioni.
Gli obiettivi generali della riforma vengono individuati nello stesso testo del provvedimento (articolo 1, comma 1), in cui si illustrano le finalità che il Governo si prefigge di raggiungere con la nuova normativa, spiegando che si punta alla realizzazione di “un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”.
Viene esplicitamente dichiarato che si mira a conseguire tali obiettivi attraverso l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, con il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato (cd. “contratto dominante”), la valorizzazione dell’apprendistato come principale modalità di ingresso nel mondo del lavoro e la ridistribuzione delle tutele dell’impiego, da un lato, contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità relativi alle tipologie contrattuali (flessibilità in entrata) e, dall’altro, adeguando la disciplina dei licenziamenti (flessibilità in uscita).
La legge interviene, inoltre, in materia di ammortizzatori sociali e di politiche attive del lavoro, puntando ad avvicinare il nostro mercato del lavoro al sistema della “flexsecurity” vigente nei Paesi del Nord Europa.
Gli obiettivi del provvedimento, condivisibili in linea di principio, scontano però la presenza di un mercato del lavoro asfittico nel nostro Paese, nel quale, peraltro, il ricorso a forme flessibili di occupazione registra percentuali di utilizzo sensibilmente inferiori rispetto a quelle dei Paesi europei più avanzati.
Per questi motivi, generano preoccupazione gli interventi promossi dal Governo in termini di restrizioni alle forme contrattuali di lavoro flessibile (contratto a termine, prestazioni lavorative in regime di lavoro autonomo), in particolare riguardo a figure professionali di elevate competenze o potenzialità, per le quali l’ingresso nel mondo del lavoro o la ricollocazione spesso avvengono proprio attraverso tali forme flessibili.
In un periodo di crisi occupazionale come l’attuale, sarebbe stato necessario, invece, dare risposte più concrete alle esigenze di flessibilità funzionale in entrata da parte delle nostre imprese, pur con l’esigenza di prevenire abusi e spingere all’emersione del lavoro nero od irregolare.
Inoltre, la nuova disciplina dei licenziamenti, con cui si modifica l’art. 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), appare una innovazione più simbolica che sostanziale e, comunque, non comporta alcun effetto sulla categoria dei dirigenti.
Per concludere l’analisi di merito del provvedimento, deve essere evidenziata anche l’istituzione di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), con l’obiettivo di verificare lo stato di attuazione degli interventi e valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego.
Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del Lavoro in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono anche le Parti sociali (attraverso le Organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’Inps e l’Istat, chiamati ad organizzare delle banche dati informatizzate anonime. Il suddetto sistema permanente di monitoraggio e valutazione dovrà produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte.
In allegato: